La nostra storia affonda le radici in quella della famiglia Ristori, che dal 1618, dopo la grande peste che colpì anche il Casentino, si insediò in questo podere proprietà dei Monaci Camaldolesi. Le notizie hanno una certa veridicità e vengono raccolte in modo minuzioso, poiché fin da quell’anno un membro della famiglia Ristori era “curatore” dei beni dei Monaci, ruolo questo che fu tramandato nel tempo all’interno della famiglia. È noto infatti che i Monaci sono sempre stati molto scrupolosi nel registrare sia eventi relativi alle loro proprietà che accadimenti inerenti loro numerosi possedimenti.

I Ristori inoltre erano “foderatori”, uno dei mestieri più affascinanti e pericolosi che si possano immaginare. Erano in sostanza dei Caronti, che al posto delle anime dovevano accompagnare ai porti più importanti della Toscana (Firenze e Pisa) i lunghissimi tronchi di abeti bianchi che hanno scritto la storia materiale di queste città. Questi abeti – inno naturale a Dio, con il loro “tendere verso l’alto” – sono stati utilizzati per la costruzione del Duomo di Firenze, ma hanno anche alimentato i viaggi delle grandi navi che solcavano i nostri mari. Anche su di loro la registrazione di eventi e fatti doveva essere molto precisa, se pensiamo che erano esenti dal servizio di Leva. I Ristori conclusero la loro “carriera” come conduttori e foderatori solo nel 1748 anno in cui si diedero all’agricoltura, attività che portarono avanti fino al 1897.

Una svolta importante nella vita di questa grande Famiglia e del Podere Bocci si ebbe con l’Unità d’Italia e l’appropriazione da parte dello Stato dei beni appartenenti alle Comunità Religiose. I Camaldolesi, per non perdere i possedimenti, decisero di intestare alcuni poderi ai loro contadini. La famiglia continuò comunque a coltivare queste terre e a curare gli interessi di questa grande podere anche con il ritorno dei beni ai Camaldolesi. Questo per ribadire che il podere in questione ha goduto di un’attenzione particolare nelle cronache del tempo.

Una delle usanze della Famiglia in questione, come di molte famiglie casentinesi, era quella delle veglie. Queste ultime venivano spesso animate da veri e propri “novellatori” o novellatrice; altre volte erano gli anziani a svolgere questa funzione pedagogica del tramandare.